Lettere dal fronte #5
Buona Domenica e buona festa del Lavoro e dei Lavoratori.
Prima ancora che Eni ci somministri la nostra dose annuale di greenwashing attraverso il Concertone di Roma (mentre in silenzio prepara i rubli per pagare il gass russo, alla faccia della transizione ecologica), vi invito a prendere visione delle lettere di oggi.
Da poco mi sono imbattuto in Resonate.
Resonate è una cooperativa online che propone un modello di streaming musicale molto ambizioso, basato sul meccanismo stream2own.
Senza abbonamenti mensili, paghi solo quello che ascolti.
Ascoltare un brano per la prima volta costa all’incirca 0,002 centesimi, prezzo che raddoppia per ogni ascolto successivo fino al nono, dopodiché diventa di proprietà dell’utente.
Per completare l’acquisto di un pezzo servono 1,25 euro in totale, prezzo di mercato simile agli altri store online, mentre per ascoltare sempre brani diversi bastano pochi millesimi, rendendo il servizio conveniente per chi vuole conoscere musica nuova.
La differenza è che in questo caso all’artista va il 70% di quanto spende l’utente.
Insomma, se per guadagnare un dollaro su Spotify servono migliaia di ascolti, su Resonate ne bastano nove.
E’ un modello atipico, che dubito farà presa sul grande pubblico ed in alcuni casi risulta anche particolarmente sconveniente: ad esempio acquisire un album completo dalle molte tracce risulta particolarmente esoso.
Io stesso non punto ad utilizzarlo nell’immediato futuro.
Allora perché ne parlo? Essenzialmente per due motivi:
Ogni tanto è giusto riflettere su modelli che cercano di proporre qualcosa di diverso e più equo.
Il manifesto disponibile sul loro sito riesce ad intercettare gli snodi cruciali su cui si gioca il futuro del settore musicale indipendente, sintetizzando concetti necessari su cui tutti (artisti, ascoltatori, figure di mezzo) dovrebbero confrontarsi.
La prima è una premessa fondamentale: la musica è arte, non content;
Le parole sono importanti.
Il primo passo è rifiutare l’etichetta generica di content quando si parla di prodotto artistico, il cui fine non è quello di essere consumato passivamente ma al contrario necessita sempre del coinvolgere ad una partecipazione attiva l’utente che ne fruisce.
Uno non vale uno solo perché ci arriva dallo stesso canale mediatico.
Altrimenti legittimiamo il fatto che su piattaforme come Instagram o TikTok l’artista per conquistare l’attenzione dell’utente debba competere con influencer, modell*, astrolog* e altr* professionist* che portano contenuti molto diversi e forse più funzionali al mezzo utilizzato.
Per costruire un futuro più equo, in contrasto con le prospettive di un’industria musicale le cui gerarchie sono sempre più basate su dinamiche di potere che tolgono forza agli artisti e all’arte per ricollocarlo nelle mani delle multinazionali e dei brand, serve quanto mai incentivare il coinvolgimento attivo del pubblico, responsabile del futuro del settore tanto quanto gli artisti, se non di più.
Senza partecipazione attiva non c’è comunità musicale, solo un mercato sottoposto alle leggi di qualsiasi altro mercato e nient’altro.
Non si può negare però che negli ultimi anni la parte più bastonata sia stata quella degli artisti, proprio per questo è quanto mai necessaria una presa di coscienza del consumatore.
Il FUTURO è il tema del secondo numero di ARABPOP, rivista di arti e letterature arabe contemporanee.
Anzi i futuri.
Quelli diversi, immaginabili, impossibili e perduti, carburante del nostro presente, anche quando li neghiamo.
Arabpop ci presenta articoli, playlist, racconti, fumetti provenienti dal mondo arabo contemporaneo fornendoci spunti e punti di vista diversi, e anche per questo particolarmente ricchi, con cui confrontarci.