Abbiamo attraversato la Ionio-Tirreno cercando dappertutto segni di fiamme.
Le precedenti 24 ore le abbiamo vissute con il rombo dei Canadair nelle orecchie, una incessante puzza di bruciato per le strade del paese e l’angoscia di chi vede la propria casa andare a fuoco.
E’ una storia vecchia che, all’alba dell’emergenza climatica a cui stiamo assistendo, assume una nuova dimensione di pericolo e gravità.
Con un forte senso di perdita, sconfitta e rabbia tagliamo in due la Calabria per arrivare alla prima giornata del Color Fest, a Maida (CZ).
E’ il 12 Agosto e l’anti-ciclone Lucifero ha trasformato il pomeriggio della campagna lametina in un vero e proprio Inferno.
Il primo istinto è quello di sentirsi vecchi, perché in fila siamo circondati da individui con almeno dieci anni in meno.
Ma in realtà siamo noi ad avere dieci anni in meno, visto che qualcosa ci ha spinti ad affrontare i 40 gradi all’ombra per ascoltare gruppi, incontrare gente, fare esperienze che non possiamo vivere frequentemente negli spazi che abitiamo durante l’anno. Purtroppo.
Ed è questa voglia che ci accomuna più dei dati anagrafici.
Lo penso anche durante l’esibizione dei Post-Nebbia, che hanno vent’anni e sembrano bambini, ma il loro esordio Canale Paesaggi è di un gusto e di una scrittura di grande maturità e anche il concerto è una buona prova, che solo a tratti tradisce la loro età. I loro brani parlano di un’alienazione propria delle ultime generazioni di post-adolescenti, tra smartphone e bolle social in cui ci rinchiudiamo per confermare i nostri bias, con piglio esistenzialista e senza la retorica facile in cui si rischia di cadere quando si parla di certi argomenti. Lo fanno su pezzi irresistibili che suonano un po’ meno psichedelici dei Tame Impala e con un po’ di groove in più degli ultimi Arctic Monkeys. Al momento sono uno dei migliori gruppi italiani su disco e hanno grandi margini di crescita dal vivo.
Devo dire la verità: non sono un grande fan dei festival.
Trovo sempre nervosismo in chi lavora agli stand del cibo e nella sicurezza e le interazioni sono spesso aggressive e non mi mettono a mio agio.
Dirò di più: non sono un grande fan dei festival al tempo delle normative anti-covid; mentre ci aggiriamo con la mascherina tra gli stand, all’aperto, i ragazzi che lavorano volontariamente all’evento ci fermano più volte per dirci di rimanere seduti sul prato nei momenti in cui non eravamo in fila, indisponendoci un po’. Ma siamo persone responsabili e il settore della musica dal vivo si è sempre dimostrato tra i più attenti a far seguire i protocolli e per quanto certe dinamiche rovinino la fruizione dell’evento, siamo consapevoli della necessità di non correre rischi e dello stress a cui sono sottoposti gli organizzatori.
Proprio in questi giorni è scoppiato il caso Salmo, colpevole di aver organizzato un concerto ignorando tutte le norme anti-covid per “dare un segnale”.
E’ servito? Penso di no - un evento del genere può avere conseguenze pericolose per la salute pubblica.
Ha torto marcio? Non del tutto.
Molti altri settori sono ugualmente rischiosi e non vivono le stesse restrizioni del mondo degli spettacoli dal vivo, che è tra i più controllati e diligenti. Ho frequentato feste nei lidi, dove si entra senza Green Pass e mascherine, dove ci si accalca tranquillamente senza tutele e controlli, mentre eventi che li garantiscono hanno dovuto ridimensionare o annullare le proprie attività.
Il discorso in Italia sembra essersi inceppato tra frecciatine tramite Instagram Stories e non credo che il gesto di Salmo innescherà un dibattito positivo, anche solo per testare soluzioni alternative nei criteri di organizzazione eventi.
Tornando al Color Fest, la prima giornata (e unica a cui abbiamo partecipato) si è dimostrata soddisfacente sia per qualità che per varietà.
Generic Animal si presenta da solo con la sua chitarra elettrica, come un cowboy che canta un blues che non affonda le sue radici nel delta del Mississippi, ma negli arpeggi dei Van Pelt che incontrano la generazione Soundcloud Rap. Non a caso ha collaborato ad alcuni tra i migliori brani trap italiani degli ultimi anni, aggiungendo sfumature diverse alle produzioni di gente come Ketama126 o Massimo Pericolo. La sua performance è intima ed emotiva, anche se alcuni brani pagano la mancanza degli interessanti arrangiamenti presenti su disco.
Marat porta geometrie che si ripetono e si dilatano nello spazio e dispiega la sua voce in racconti personali, mentre i Mckenzie, con tutti i problemi tecnici che affliggono chi suona in tre sin dall’alba dei tempi, sono del posto ma suonano un po’ D.C. e un po’ Sub pop (e’ uscito il loro nuovo disco ZOOLOFT, clicca qui per ascoltarlo).
Mentre la luna è uno spicchio che sale, Fabio Nirta decide di farci piangere giusto un po’ con Sufjan Stevens, per controbilanciare lo spettacolo di Valerio Lundini e i Vazzanikki che come previsto ci contagiano con il loro virus del buonumore, grazie ad alcuni dei brani più iconici ed esilaranti già proposti nelle prime due stagioni della Pezza.
Approfittiamo dell’esibizione di Cimini per respirare un po’, girare tra gli stand del merch, parlare con qualche amico con cui non ci si vedeva da anni, guardare le Perseidi che bruciano per attrito nell’atmosfera - lo sapevate che le stelle cadenti sono più numerose nei giorni successivi a San Lorenzo?
Dopo aver sganciato 80 mila delle vecchie lire per il vinile di IRA, ci dirigiamo a prendere posto per il live di IOSONOUNCANE.
Lo show di Jacopo Incani è stato il main event di molti dei più grandi festival italiani all’aperto di quest’estate e ne sono molto contento.
IRA per ambizione va a giocare nella stessa lega di alcuni grandissimi musicisti di livello internazionale. Non è un capolavoro assoluto, ma resta comunque un disco figlio di una visione artistica immaginifica e coraggiosa, un monolite che non fa compromessi su quello che vuole comunicare e sulla forma in cui lo propone all’ascoltatore. Di musica fatta in questo modo in Italia, a questi livelli di popolarità, non se n’è mai vista molta e il fatto che possa essere la portata principale di tanti eventi, dove negli anni passati lo stesso slot veniva coperto da artisti Itpop o da qualche ospite internazionale, per me è un ottimo segnale.
Lo spettacolo segue perfettamente questa visione, senza fare compromessi e ruffianate.
Dal momento in cui parte il primo pezzo i tre musicisti sul palco diventano un essere solo, che per un’ora e mezza intreccia linee di synth e pianoforti corposi, tesse ritmiche incessanti di bassi profondissimi e percussioni affilate, senza lasciare tregua a chi ascolta. Le composizioni sono lunghe e stratificate e ovviamente ripercorrono soprattutto la tracklist di IRA, lasciando pochi momenti al precedente DIE, tra cui una trascinante e applauditissima versione di Tanca.
Dopo circa 7 ore di spettacoli, di caldo asfissiante e di glutei su superfici non particolarmente accoglienti, la stanchezza comincia a salire; sul palco si sta abbattendo una tempesta elettrica e noi iniziamo a cedere. Ma all’improvviso, al culmine sonoro del brano e dopo non aver proferito una parola per tutto il concerto, Incani alza il pugno e lascia il palco, seguito a turno dai suoi collaboratori, mentre la tempesta continua imperterrita da sola, per spegnersi di colpo dopo qualche minuto. Una conclusione più efficace dei soliti e svogliati bis.
Andiamo via soddisfatti ed esausti dopo un cornetto e una firma di Jacopo sulla mia copia di IRA.
Qualche giorno dopo, seduto in un pub della Locride ho pensato che sarebbe bello partecipare ad eventi del genere più spesso.
Poi la realtà mi ha preso a calci in testa mentre partiva in sottofondo una cover di un noto rocker generalista italiano.